Forse il titolo spagnolo è meno vago: le uova in questione non sono di certo quelle da fare al tegame. Non per niente Benito (il maschione già venditore d'insaccati nel precedente PROSCIUTTO, PROSCIUTTO) funziona e ragiona (se così si può dire) solo per appagare desideri che - come i propri attributi - siano sempre due. Disposti uno accanto all'altro... due Rolex, ad esempio, al proprio braccio; due donne, nel proprio letto. Dapprima muratore poi, in erezione costante nell'escalation erotico-sociale, imprenditore immobiliare, il nostro fa sua un'equazione che fa comodo a lui, e più ancora ad un regista che ha cercato con la provocazione di seguire faticosamente i cammini di un grande di Spagna, Luis Bunuel. O, perlomeno, di un grande della movida madrilena, Pedro Almodovar: molto appetito (gastronomico, sessuale) è eguale a molto potere (sociale, economico).
Che la cosa stia ancora meno in piedi di una delle celebri erezioni di Benito, deve saperlo anche Bigas Luna: tanto che, dopo averci fatto credere il contrario (ed è proprio dal "dove" si situa quel punto, che si può giudicare la vera morale del film; e non certo dalla ridanciane esposizioni genitali di UOVA D'ORO), finisce per far piangere il suo macho. E soddisfare (non soltanto sessualmente, quello succedeva già prima) le sue povere donnine.
Perché un film teoricamente provocatorio come questo ci lasci del tutto indifferenti è - come sempre al cinema - una questione di sguardi. O, se preferite, di linguaggio: costruito sulla fotografia imponente di José Luis Alcaine che ne fa ancor più risaltare l'impotenza inventiva, quello di Bigas Luna è terribilmente sottolineato, semplicistico e ripetitivo. Che panoramichi incessantemente dai grattacieli per farci capire che di megalomania palazzinara si tratta, o che passi cento volte dagli obelischi in erezione naturale a quelli che Benito costruisce in cemento armato, è una scienza spiegata ad un popolo che è più furbo di quel che s'immagina il professore.